Negli ultimi anni si è iniziato sempre di più a parlare di salute mentale, di benessere organizzativo, equilibrio vita-lavoro e persino di well-being washing. Queste discussioni hanno portato le aziende a prendere in considerazione gli effetti del lavoro sui livelli di motivazione e partecipazione dei propri dipendenti, sviluppando nuove consapevolezze che hanno permesso la nascita di figure ormai centrali: tra queste, il Chief Happiness Officer (CHO), manager della felicità.
Personalità ancora poco nota nel panorama italiano, il CHO applica nelle aziende la cosiddetta scienza della felicità, nata dall’intuizione dello psicologo Martin Seligman e dal suo PERMA MODEL (positive emotions, engagement, relationships, meaning e accomplishment) che ne fa un costrutto complesso sul quale è possibile concentrarsi per aumentare il benessere.
Un CHO è una figura di raccordo tra management e dipendenti con conoscenze di psicologia, sociologia e risorse umane. Il suo compito è valutare, prima di tutto, il livello di benessere dei lavoratori di un’azienda per poi studiare strategie, misure ed azioni per migliorare l’ambiente e rendere i dipendenti più motivati e produttivi. Inoltre, egli deve occuparsi dello sviluppo organizzativo e accompagnare la crescita positiva di persone e team di lavoro.
Nello specifico, le sue mansioni hanno a che fare con la socialità e il coinvolgimento della comunità dell’azienda e si articolano in:
📌 Progettazione di programmi per il benessere del dipendenti
📌 Promozione e motivazione dei dipendenti migliori
📌 Ascolto per capire eventuali aree di insoddisfazione
📌 Garanzia del work-life balance
📌 Allineamento del percorso individuale dei dipendenti con obiettivi e mission dell’organizzazione
📌 Monitoraggio delle performance aziendali secondo i KHI (Key Happiness Indicator)
Per poter fare tutto ciò, è fondamentale che un Chief Happiness Officer sia in possesso di capacità comunicative e relazionali che gli permettano di interfacciarsi al meglio con tutti i livelli gerarchici dell’organigramma aziendale; capacità di risoluzione dei conflitti e problem solving per mediare tra i dipendenti e risolvere controversie; creative thinking per rendere i dipendenti più felici attraverso diverse attività.
Grazie alle sue competenze e alle strategie messe in atto, l’attività del manager della felicità dovrebbe apportare i seguenti vantaggi:
📌 Benessere come solida strategia organizzativa: un CHO integra la cultura aziendale con gli strumenti dell’Organizzazione Positiva, ponendo al centro dell’attività dell’organizzazione il bene comune dei dipendenti ma anche della società, contribuendo quindi alla creazione di valore condiviso;
📌 Aumento della performance individuale e collettiva: l’allineamento dei bisogni e del percorso individuale dei dipendenti con le necessità dell’organizzazione riesce a creare un perfetto rapporto win-win;
📌 Boost per l’employer retention e l’employer branding: un manager della felicità contribuisce alla creazione di una cultura azienda le positiva alla cui base vi siano valori come rispetto, inclusività ed equità, facendo sì che i dipendenti rimangano più a lungo e che l’azienda diventi più attraente agli occhi dei potenziali talenti interessati.
È evidente che il mondo stia cambiando e con esso il lavoro. Per dare il meglio, le persone devono stare bene sia fisicamente che mentalmente. In sintesi, vi è la necessità di un cambiamento.
La figura del Chief Happiness Officer, con la sua visione innovativa dei processi aziendali e del modo di approcciarsi al personale, sembrerebbe il giusto compromesso per costruire una cultura in cui la positività è la scintilla che accende il fuoco del cambiamento nelle organizzazioni, guidandole verso un futuro fatto di elevate performance e dipendenti felici e soddisfatti del proprio lavoro.
Se per le aziende è importante dotarsi di una figura come quella del Chief Happiness Officer, è altrettanto importante comunicare il proprio impegno e l’attenzione verso il benessere dei dipendenti. Ecco perché azioni e iniziative mirate come quelle adottate dal CHO, necessitano anche di una buona strategia di employer branding.