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Talent e Skill shortage: La carenza di talenti e competenze come ostacolo allo sviluppo aziendale

Digitalizzazione, inflazione, Pandemia e conflitti geopolitici hanno ridefinito gli asset delle economie globali e del mondo del lavoro e, di conseguenza, le priorità dei lavoratori, sempre più incentrati sul trovare un posto di lavoro che li soddisfi, ne appaghi le ambizioni ed esigenze e sia allineato con i propri valori di riferimento. Tutti questi cambiamenti hanno dato luogo a fenomeni come la Great Resignation, il grande e progressivo aumento delle dimissioni, ma anche a fenomeni come Talent e Skill shortage, un gap di talenti e competenze che le aziende hanno quanto mai necessità di colmare.


1. Che cosa sono Talent e Skill shortage?

Talent e Skill shortage sono due veri e propri campanelli d’allarme per le aziende, ma anche due lati della stessa medaglia. Entrambi, infatti, rappresentano due carenze: da un lato, il Talent shortage è «la carenza di talenti altamente qualificati in un determinato settore o area, una situazione in cui si presenta un ‘mismatch’ dovuto a una forte domanda di professionisti a cui il mercato del lavoro non riesce a rispondere con un adeguato numero di candidati»; dall’altro, lo Skill shortage ovvero «la mancanza di competenze tecniche e personali adatte a ricoprire una nuova posizione lavorativa».

In entrambi i casi, Talent e Skill shortage presentano dei punti in comune: essi rappresentano un gap che le aziende non riescono a colmare, un’incapacità o grande difficoltà nel ricoprire posti di lavoro vacanti o trovare talenti con le giuste competenze.

In particolare, questi due fenomeni sembrerebbero avere in comune anche le aree in cui le carenze registrano livelli maggiori, ovvero:

📌 Sales & Marketing
📌 Settore manifatturiero e produzione
📌 Clienti e Front-Office

top 5 ruoli

In questi settori, secondo l’ ”Employment Outlook Survey” di ManpowerGroup, ben il 75% dei datori di lavoro dichiara di non riuscire a trovare personale. A ciò va ad aggiungersi non solo la mancanza di competenze tecniche, ma anche quella di competenze ‘soft’ quali:

📌 Affidabilità e autodisciplina: essere in grado di definire autonomamente le priorità e gli obiettivi, pianificare e saper organizzare il proprio lavoro e portare risultati anche a distanza;
📌 Resilienza e adattabilità: capacità di adattarsi a contesti mutevoli, essere in grado di lavorare a nuovi incarichi e con persone con punti di vista diversi dal proprio;
📌 Ragionamento e risoluzione dei problemi: essere in grado di fornire la miglior risposta possibile a situazioni nuove e critiche, mantenendo la calma e rispondendo a una situazione in modo razionale;
📌 Creatività e originalità: riuscire a produrre una gamma di possibili soluzioni divergenti per un determinato problema che non prevede un’unica risposta corretta;
📌 Pensiero critico e analisi: saper acquisire, organizzare e riadattare dati e informazioni provenienti da fonti diverse.

top 5 soft skills


2. Quali sono le cause e rischi

Sulla base di ciò, si evince come Talent e Skill shortage ad oggi rappresentano per le aziende una minaccia e una sfida che i reparti risorse umane si trovano ogni giorno ad affrontare per non incorrere in conseguenze che, inevitabilmente, incidono negativamente sulla propria organizzazione e, nel lungo termine, sul mercato intero.

Difatti, si stima che nei prossimi 5 anni la percentuale di aziende che non riesce a trovare talenti con le giuste competenze passi dall’attuale 43% ad un 87%, arrivando a lasciare scoperti oltre 85 milioni di posti di lavoro entro il 2030.

Ma come si è arrivati a tutto questo? Innanzitutto, la Pandemia, il tempo trascorso forzatamente in casa e le nuove modalità di lavoro ibrido, hanno contribuito a ridefinire le priorità dei lavoratori odierni: stanchi di trascinarsi un senso di insoddisfazione legato alla propria carriera, molti dipendenti hanno dato le dimissioni scegliendo di trarre appagamento altrove, in posti che meglio rispondano alle proprie esigenze e che permettano di poter finalmente realizzare le proprie ambizioni e sé stessi perché più affini ai propri valori di riferimento.

Inoltre, molti dipendenti si dimettono per ridefinire il proprio work-life balance, intenzionati a dare più spazio e maggiore importanza alla propria vita privata, spesso messa da parte per far fronte a ritmi di lavoro che non gliene concedono abbastanza, contrariamente alla libera professione o allo smart working.

La frustrazione individuale, unita all’inflazione, a salari statistici e sempre più bassi o insufficienti per coprire l’aumento dei costi della vita, si sono accompagnate e al conflitto russo-ucraino, che ha contribuito ad influenzare le catene di approvvigionamento aumentando l’incertezza delle prospettive economiche.

Crescono i dubbi, le frustrazioni, la paura, ma non la disponibilità salariale e la fiducia verso il futuro, specialmente dei più giovani della Generazione Z, che ha portato i potenziali candidati delle aziende ad essere sempre più impreparati al mondo del lavoro.

Conseguentemente, le aziende vedono però palesarsi la possibilità che la loro crescita si interrompa, che sviluppo e innovazione tecnologica vengono frenate e che, sul lungo termine, tutto ciò impatti negativamente sul mercato e sulla società stessa, generando un effetto domino che partendo dall’interruzione delle catene di approvvigionamento, vedrà aumentare gli orari e i carichi di lavoro e molteplici attività chiudere i battenti.


3. Possibili soluzioni

Secondo lo studio “The skillful corporation” di McKinsey, il 53% delle organizzazioni ritiene che uno dei punti da cui partire per invertire la rotta sia innanzitutto mettere in atto iniziative di reskilling dei dipendenti.

Infatti, investire nella formazione di quest’ultimi tramite l’istituzione di corsi ad hoc professionalizzanti, se non di una vera e propria Academy aziendale qualora possibile, può rappresentare un benefit che riconosce valore all’individuo sostenendolo nella sua carriera lavorativa e nel raggiungimento dei suoi obiettivi, permettendo alle organizzazioni di rispondere anche al proprio bisogno di garantirsi le competenze necessarie per il futuro.

Il reskilling è funzionale anche a raggiungere un duplice scopo: favorire la mobilità interna dei dipendenti e migliorare la fidelizzazione perché, attraverso i percorsi proposti per aumentare, aggiornare o riqualificare le competenze, l’azienda comunica loro di averne a cuore la crescita.

Inoltre, ciò comporta una riduzione dei costi di recruiting e onboard sul lungo termine.

Per colmare i gap, un passo estremamente importante è anche ridefinire a monte la strategia HR partendo dall’ascolto attivo e continuo delle esigenze dei lavoratori, adottando un approccio people-centric e costruendo una Employer Value Proposition il più data-driven possibile che si accompagni a strategie strutturate di Employer Branding e Talent Acquisition.

È essenziale, quindi, che i processi di recruiting siano focalizzati sul capitale umano dell’azienda, così da poter implementare un Employee Life Cycle che permetta ai dipendenti di vivere un’esperienza positiva lungo tutto l’arco del rapporto di lavoro e sulla base dei dati, poter offrire un’offerta sempre più personalizzata ai talenti potenziali.

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