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Davide vs Golia: il caso GameStop rispolvera lo scontro sul mercato azionario

Non c’è niente di più rischioso delle percezione diffusa che non esista alcun rischio” (Howard Marks).

Per questo, il caso GameStop è destinato a fare storia. Un fenomeno sociale, ancor prima che finanziario, che a cavallo tra 2020 e 2021 si è trasformato in una tematica mainstream e sulla bocca di tutti, esperti e non. A inizio 2020, dopo una lunga discesa il prezzo del titolo GameStop si aggirava intorno ai 4$ e risultava essere il più venduto allo scoperto di Wall Street. Azienda incapace di generare utili dal 2015 e ancorata ad un modello di business ormai al tramonto dei suoi giorni migliori, la storica realtà texana, che con i suoi negozi ha accompagnato intere generazioni di appassionati del panorama videoludico, non sembrava più in grado di regalarci grandi emozioni. Nel nostro mondo, però, a volte la razionalità vacilla ed è così che nel gennaio 2021 il titolo GameStop registra in pochissimi giorni un rialzo del 1844%, raggiungendo il prezzo di 347$, salvo poi, in modo prevedibile, crollare nuovamente per poi conoscere una nuova crescita a marzo confermando l’alta volatilità del titolo in seguito agli avvenimenti di gennaio. Cos’è successo? Chi sono i responsabili? Quali sono le conseguenze? Cosa ci riserva il futuro? Scopriamolo insieme analizzando il fenomeno a qualche mese di distanza.

Gordon Gekko nel famoso film “Wall Street” recitava “greed is good” (l’avidità è buona).

L’esercito di retail investors che si è riversato nelle azioni GameStop deve aver preso particolarmente sul serio la famosa citazione di Gekko. D’altronde si sa, dove populismo, social media e denaro a buon mercato si combinano, succedono sempre cose interessanti.

Partiamo definendo il profilo tipico dell’investitore “retail”. Si parla di risparmiatori – anche imprese, società o altri enti – che non sono qualificabili come clienti professionali. Dispongono solitamente di piccole cifre da investire, e di una conoscenza approssimativa dei mercati finanziari. Spesso si rivolgono ad intermediari specifici cercando la miglior combinazione costo/disponibilità di titoli.

Nel caso preso in esame, aiutati dall’azzeramento delle commissioni da parte dei broker, dalla possibilità di investire anche cifre davvero minime, dal passaparola dei social e dal notevole tempo libero consentito dal covid, gli investitori retail si sono organizzati in veri e propri sciami di locuste rialziste. Aggiungiamo alla ricetta l’acquisto massiccio di opzioni deep-out-of-the money, esercitate su azioni pesantemente shortate da investitori istituzionali e…

Les jeux sont faits, rien ne va plus, come nel più pericoloso dei casinò, una poco sensata scommessa al rialzo diventa un incidente finanziario di portata globale.

A ben vedere, le ultime mini bolle finanziarie sono state generate proprio da un massiccio intervento dei retail investors (si vedano criptovalute, Hertz, Blackberry , ecc…)

Bank of America e Credit Suisse confermano, nei loro report, un’inusuale rilevanza del segmento retail nel rialzo dei corsi degli ultimi anni. Probabilmente dovuto al grande incremento di downloads delle app di trading (Robinhood in primis) e dalla grande quantità di liquidità immessa di recente nel mercato, andata a confluire sui rendimenti dell’azionario, piuttosto che sui tassi negativi dell’obbligazionario.

 

 

Dall’altra parte, abbiamo vari grandi hedge funds e istituti finanziari costretti a chiudere le posizioni short del valore di miliardi, a causa dei continui rialzi privi di fondamento del titolo.

E’ diventato famoso il caso di Melvin Capital Management, che scommettendo su un crollo di GameStop ha perso a gennaio 6,6 miliardi di dollari, e si è salvato grazie all’iniezione di 2,75 miliardi di dollari del fondo hedge Citadel, che gli ha permesso di non dover liquidare anche gli altri investimenti.

Il mondo finanziario non è un gioco, e i giocatori esperti (gli hedge funds) sono partiti dalla considerazione logica e realistica che GameStop a 40 dollari fosse sopravvalutato.

I piccoli investitori su Reddit, evidentemente di parere opposto, sono partiti dalla considerazione che gli hedge funds andassero fermati, a prescindere da una ragione logica, senza pensare a chi avrebbe pagato le conseguenze.

Da qui inizia lo “scontro” tra piccoli investitori e grandi fondi, piccoli contro grandi.

Ma facciamo un passo indietro.

Una recentissima ricerca di Valentina Semenova e Julian Winkler ha evidenziato la presenza di un fenomeno chiamato “social contagion” o, più comunemente, hype: nel paper, viene stimato che tra gli utenti di WallStreetBets la probabilità che un individuo inizi una nuova discussione riguardante un asset sia circa 4 volte più alta nel caso in cui tale utente sia stato precedentemente coinvolto in una discussione riguardo il medesimo asset. In aggiunta, lo storico intento di gruppi come WSB di ottenere grandi guadagni con operazioni ad alta percentuale di rischio genera il cosiddetto “narrow framing”: tale teoria, facente parte della Behavioural Economics, sostiene come la scelta del singolo investitore sia dettata dall’esposizione a una specifica posizione (in questo caso all’interno del forum), che porta l’individuo a non valutare il rischio indipendentemente (ed utilizzando le proprie informazioni) ma piuttosto affidarsi al rischio (non) percepito.

In due parole, la famigerata “herd behaviour” si manifesta in tutta la sua (ambigua) magnificenza.

In questo caso però la dinamica ha assunto una connotazione diversa, quasi eversiva, dall’obiettivo rivoluzionario.

Dal punto di vista sociale, infatti, il fenomeno ha assunto una rilevanza inusuale: la “riscossa” dei piccoli investitori che si coalizzano contro i “poteri forti” della finanza, manipolando il mercato come i grandi fondi fanno ormai da decenni. In un’ottica di Davide contro Golia, i retailers si sono riuniti (forse in modo illegale) per manipolare il mercato e abbattere il gigante. Perché ciò avviene in questo momento storico? Perché una pratica diffusa da ormai tanti anni ha ricevuto solo adesso un attacco del genere? Un possibile motivo viene dato nuovamente dalla Behavioural Economics, ed in particolare dalla simil-Newtoniana teoria della Reciprocità, che sostiene come gli individui siano portati a rispondere a un’azione negativa con una egualmente negativa. È possibile che una situazione senza precedenti come la pandemia abbia reso, agli occhi di alcuni investitori, le azioni degli hedge funds inaccettabili e dunque meritevoli di essere punite anche grazie alla sopracitata sempre maggiore accessibilità dei mercati e alle interazioni con altri investitori rese possibili dai social network. A riguardo, Chohan (2021) sostiene come tale comportamento possa derivare anche da una malcelata rivalsa per la crisi finanziaria del 2008, nella quale gli hedge fund avrebbero ricoperto un ruolo fondamentale. Secondo questa teoria, dunque, Davide avrebbe riempito la propria fionda di tutte le rabbie date dalle angherie subite negli anni ed avrebbe scagliato, con tutta la sua forza, la propria rivalsa nei confronti del gigante. Tuttavia, i paragoni biblici spesso sono destinati a rimanere solo su carta, e poco importa se i maggiori enti che operano nei mercati finanziari offrono servizi di liquidità, market making e garanzia, oltre ad essere estremamente regolamentati e controllati.

In questi casi, la prospettiva fa tutta la differenza del mondo, e la maggior parte degli investitori opera in un complesso sistema di informazione asimmetrica.

Analizziamo quindi le diverse prospettive per comprendere meglio il fenomeno nella sua interezza:

1. Il piccolo investitore: contento dei suoi incredibili guadagni realizzati con un capitale minimo si sente soddisfatto e appagato dal suo genio. Mentre pensa a quante Ferrari si comprerà nei prossimi giorni però ignora un piccolo particolare. All’interno di quei miliardi di dollari bruciati dai fondi di investimento c’è il suo fondo pensione e quello dei suoi familiari. I grandi fondi come Citadel e Point72 ad esempio hanno in gestione molti dei fondi pensione e fondi assicurativi più comuni. Ignaro di ciò continua a comprare azioni GME finchè il titolo crolla miseramente, ponendo fine ai suoi sogni di vivere una vita alla “The Wolf of Wall Street”.

2. Gli hedge funds: bruciacchiati dalla scommessa persa corrono ai ripari attraverso i loro strumenti di copertura. La divisione di Risk Management ha delle brutte nottate davanti, e alcune teste probabilmente salteranno. La prossima volta che apriranno una posizione short verrà fatta un’analisi più approfondita del rischio short squeeze. Le perdite sono gravi ma recuperabili. Qualche fondo verrà ricapitalizzato attraverso iniezioni di capitale interne ed esterne. E probabilmente quest’anno qualche dirigente rinuncerà al bonus milionario.

3. I grandi azionisti di Gamestop: Qui entra in gioco il migliore dei paradossi. Tra i più grandi azionisti di GameStop troviamo infatti oltre a Ryahn Cohen, fondatore di Chewy.com che possiede il 12,9% delle azioni e ha innescato la prima speculazione al rialzo, Fidelity (13,6%), BlackRock (13,2%), Vanguard (12,9%), State Street (3,7%), Norges Bank (2,6%), Invesco (1,5%) e alcuni delle migliori istituzioni di fondi pensione del mondo. Si stima che questi fondi abbiano guadagnato circa 16 miliardi di dollari di plusvalenze, dovute al rialzo del prezzo delle azioni.

In base ai calcoli di JPMorgan, si può ipotizzare che dietro il “fenomeno GameStop” ci sia stato lo zampino degli investitori istituzionali, molto più attivi di quanto finora si è detto. Nessun Davide contro Golia. Potrebbe essersi trattato semplicemente di una guerra di “Wall Street contro Wall Street”.

Analizzando le diverse prospettive, si capisce come la “rabbia sociale” che ha generato l’ottovolante degli ultimi mesi si sia rivelata controproducente in primis per il piccolo investitore, non possedendo il capitale sufficiente per coprire il rischio e la conoscenza adeguata per chiudere la posizione al momento opportuno. L’origine di questi movimenti va ricercata in un processo di “democratizzazione” della finanza in atto da alcuni anni. I Broker dove operare in maniera quasi gratuita si moltiplicano e i mercati finanziari non sono mai stati così accessibili.

Questo, oltre ad aspetti positivi, ha anche molti lati negativi. Come nella società esistono l’invidia, la rabbia sociale e il senso di rivalsa, così un accesso più facile ai mercati finanziari ha portato alla diffusione di fenomeni di “populismo” finanziario, trasferendo la lotta contro l’establishment su un piano diverso e più pericoloso. L’idea di sfruttare il capitalismo per la lotta contro il capitalismo ormai è nota, come ne sono noti gli scarsi risultati.

Intanto i maggiori azionisti di GameStop ringraziano e vendono le loro azioni con profitti notevoli (qui sotto la lista).

 

 

Prevedere come un evento di questa entità impatterà sui mercati finanziari è indubbiamente una missione ambiziosa, ma vogliamo darvi ugualmente alcuni spunti di riflessione. Un dato da citare è la crescente frazione di capitali detenuta da privati, rispetto alla decrescente frazione di azioni detenuta da grandi istituzioni: questo tende a comportare un maggior peso della parte emozionale del prezzo di un’azione, quella parte non legata all’analisi del valore di un’azienda, quanto piuttosto all’istinto e al sentimento generale rispetto ad un determinato titolo. Sicuramente, anche grazie ai nuovi strumenti di analisi dei dati, un trend emergente è quello che vede il monitoraggio e l’analisi dei dati provenienti dai social network, in particolare rispetto alle informazioni sulle azioni, in modo da connettere gli aspetti emotivi ai movimenti di mercato. Questi strumenti innovativi sono già adottati dagli enti regolatori e assumeranno un peso sempre maggiore nell’individuazione delle irregolarità sul mercato, nonostante crediamo che oggi la loro rilevanza mediatica sia amplificata dai recenti avvenimenti, che hanno attirato l’attenzione anche di chi non aveva mai guardato a Wall Street con attenzione.

Nonostante, il caso GameStop sottolinei la crescente rilevanza di fenomeni di tipo sociale, è difficile immaginare un sistema finanziario governato da questi, in cui le autorità non mettano chiari limiti e non puniscano i promotori di azioni speculative di massa, che sono di fatto manipolazione del mercato ad opera di una massa e che riducono senza dubbio l’efficienza del sistema. Gridare alla giustizia e richiamare valori comuni, quali la rivalsa del piccolo contro i grandi e potenti, non basta a giustificare azioni che rischiano, se ripetute ciclicamente, di minare il corretto funzionamento dei mercati e di intaccare un meccanismo che, seppur distante dall’essere perfetto, è alla base della nostra economia, dal momento che su di esso basiamo un’importante fetta della raccolta dei capitali delle imprese. Rompere questo meccanismo, che ha anche il compito di selezionare le imprese che possono offrire più valore al paese, non è sicuramente un obiettivo auspicabile, dal momento che i danni che causerebbe sarebbero non quantificabili. Nel sottolineare questo punto, è anche importante non sopravvalutare quello che ad oggi è un fenomeno isolato, di natura virale e passeggera, che più che preoccuparci, dovrebbe farci riflettere su come anche “i mercati finanziari” (e chi li regola) debbano essere attenti osservatori ed evolvere nel tempo, proprio per stare al passo con i fenomeni del mondo per evitare che possano diventare problemi in futuro.

A cura di Edoardo Alberto Donolato, Marco Massobrio, Luca Mocci e Jacopo Carlo Canale del VGen Mi – Bocconi Students Innovation Hub

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